levysoft rated Per un'ora d'amore: 4 stars
Per un'ora d'amore by Piergiorgio Pulixi (Nero Rizzoli)
Sullo sfondo di una Milano crepuscolare, violenta e indifferente, spazzata dalla pioggia e dal vento, Pulixi tratteggia un noir denso …
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Sullo sfondo di una Milano crepuscolare, violenta e indifferente, spazzata dalla pioggia e dal vento, Pulixi tratteggia un noir denso …
Ho trovato il libro bello e scorrevole in molte parti, forse un po’ troppo lunga e ripetitiva la parte delle testimonianze sul banditismo. Il libro oltre a narrare eventi storici eccezionali provava ad invitare alla riflessione su questioni più ampie come l’identità, la scelta e la responsabilità individuale con l’introduzione di due personaggi inventati che si scontravano con le loro differenze culturali in una Spagna degli anni '50 . Sicuramente apprezzabile lo sforzo ma è indubbio che è un parte minore rispetto alla storia della Pastora.
In una Spagna che, mentre tentava con la guerriglia di abbattere il franchismo, sembra fatta solo di vendette, rancori, inganni, delazioni e crudeltà, dove gente di lì non vedeva alcuna speranza nel proprio futuro, ecco che vengono introdotti questi due personaggi che si mostrano in tutte le loro fragilità ed evoluzione.
In questo ambiente, Nourissier, lo psichiatra francese, si scopre essere come un bambino …
Ho trovato il libro bello e scorrevole in molte parti, forse un po’ troppo lunga e ripetitiva la parte delle testimonianze sul banditismo. Il libro oltre a narrare eventi storici eccezionali provava ad invitare alla riflessione su questioni più ampie come l’identità, la scelta e la responsabilità individuale con l’introduzione di due personaggi inventati che si scontravano con le loro differenze culturali in una Spagna degli anni '50 . Sicuramente apprezzabile lo sforzo ma è indubbio che è un parte minore rispetto alla storia della Pastora.
In una Spagna che, mentre tentava con la guerriglia di abbattere il franchismo, sembra fatta solo di vendette, rancori, inganni, delazioni e crudeltà, dove gente di lì non vedeva alcuna speranza nel proprio futuro, ecco che vengono introdotti questi due personaggi che si mostrano in tutte le loro fragilità ed evoluzione.
In questo ambiente, Nourissier, lo psichiatra francese, si scopre essere come un bambino viziato, costretto in una vita che non aveva mai davvero scelto ma che ci si è trovato a vivere e ad accettare. Permeato in un ambiente ricco, di cultura, di onestà, rispettabilità e dedizione alla famiglia, tutti i suoi principi e valori gli sono stati dati dal suo ambiente. Ora invece tutte quelle storie truculente di violenza, passione, odio e morte l’avevano come sradicato, trasportato in uno stato d’animo del tutto diverso da quello che conosceva. In un momento di profonda riflessione esistenziale, Nourissier arriva infine a considerare la sua vita precedente come superficiale e inutile.
Mentre per Infante, il giornalista spagnolo, il cambiamento è più chiaro nel finale quando si scopre che aveva tradito il dottore con la sua connivenza con la Guardia Civil, per poi pentirsene. Se prima viveva con indifferenza nei confronti del mondo con lo scopo di ritrovarsi al riparo da qualunque dolore e vivendo così la sua vita con la filosofia del “se non speri in nulla, nulla ti deluderà”, grazie alla inaspettata amicizia con il medico francese capisce che che non si può rimanere immersi nel fango per tutta la vita. Insomma un vero e proprio percorso di cambiamento e di redenzione e finirà con il voler espiare le proprie colpe andando a costituirsi.
Il personaggio della Pastora, invece, è il più forte del libro e il più triste. Per colpa di una scelta scellerata della madre che, alla sua nascita per colpa di una malformazione, scelse di dichiararla femmina (per evitare future discriminazioni) la sua vita è sempre stata permeata di solitudine, cosa che la porterà a vivere bene tra i monti tanto che diverrà suo malgrado protagonista di imprese ardite e un mito della leggenda popolare: il mistero sulla sua vera identità (una donna che si traveste da uomo per non farsi trovare) e sulle sue vere intenzioni (partigiana o bandito?) è accusata di 29 omicidi ma alla fine si scopre che non ne aveva compiuto neanche uno. Ma questa solitudine la porta anche a cercare amicizia nelle bande partigiane guerrigliere perché ricchi di quel valore che non trovava tra amici e parenti. Per i partigiani, per il partito, tutte i compagni, tutte le persone hanno pari dignità e meritano rispetto. Alla fine, nonostante le avversità e i pericoli, raggiunge la veneranda età di 87 anni che non è niente male per una persona che è vissuta per metà vita da sola sulle montagne e una buona parte in prigione da dove ne uscì solo grazie all’amnistia proclamata dopo la morte di Francisco Franco nel 1977.
Forse, più che la Pastora, era più il suo amico Francisco a dover essere psicoanalizzato per la sua efferatezza e crudeltà che si scatena quando si sente braccato e costretto ad abbandonare la sua famiglia e le sue figlie.
Donna e uomo, partigiana e bandito, «La Pastora», personaggio realmente esistito e protagonista di imprese ardite, divenne un mito della …
Il libro è molto scorrevole e piacevole ma l’unica nota dolente è non riuscire a calarsi perfettamente nella storia in quanto buona parte della vita e della politica messicana, con tanto di note esplicative ma sintetiche, mi risultava sconosciuta.
C’è da dire, però che, come la vita, in questo romanzo non accade nulla di nuovo perchè la vita alla fine non è nulla di nuovo.
Mi è piaciuto come lo scrittore abbia usato la tecnica della meta-narrazione mentre faceva scrivere allo scrittore/capo della polizia le lettere alla moglie. Infatti, alla fine, per fare una recensione del libro che ho letto basterebbe leggere alcune di quelle parti:
“Santa Ana è un posto dove non succede niente perché succedono molte cose, e dove accadono molte cose perché non accade nulla.” E infatti: “«Qualcosa si sta muovendo anche se non ce ne accorgiamo, e sarà una cosa grossa. C’è troppa quiete».”
“E una …
Il libro è molto scorrevole e piacevole ma l’unica nota dolente è non riuscire a calarsi perfettamente nella storia in quanto buona parte della vita e della politica messicana, con tanto di note esplicative ma sintetiche, mi risultava sconosciuta.
C’è da dire, però che, come la vita, in questo romanzo non accade nulla di nuovo perchè la vita alla fine non è nulla di nuovo.
Mi è piaciuto come lo scrittore abbia usato la tecnica della meta-narrazione mentre faceva scrivere allo scrittore/capo della polizia le lettere alla moglie. Infatti, alla fine, per fare una recensione del libro che ho letto basterebbe leggere alcune di quelle parti:
“Santa Ana è un posto dove non succede niente perché succedono molte cose, e dove accadono molte cose perché non accade nulla.” E infatti: “«Qualcosa si sta muovendo anche se non ce ne accorgiamo, e sarà una cosa grossa. C’è troppa quiete».”
“E una storia di delitti orrendi, ma non sono questi che contano, bensì (come in tutti i romanzi polizieschi messicani) il contesto. Qui è raro chiedersi chi sia stato ad uccidere qualcuno, perché l’assassino non è colui che ordina la morte. C’è una distanza tra l’esecutore e il mandante. Quello che conta, quindi, è il perché.”
“Il bello del romanzo è che lo sceriffo non scopre niente, le cose accadono e basta. Ecco cosa mi piace di questo libro, che non c’è una fine, che non si conclude, che, come ti dicevo dei miei giorni a Santa Ana, è come la vita.”
“fine del romanzo: lo sceriffo di paese non riesce a capirci niente anche se, senza volerlo, scopre tutto. I cattivi della storia si ammazzano tra loro e lui resta a guardare l’ecatombe.”
“La storia è piuttosto complicata. Non so ancora se mi piacerebbe scriverla, credo di no, non fa presa, non ha una struttura drammatica, i personaggi negativi (come direbbero i miei amici cubani) sono sfumati. Non credo che mi piacerebbe scriverla.”
Alla fine, anche in mezzo a tanta ingiustizia, il protagonista è comunque un uomo felice.
Mirko ha sette anni e sette nomi. Ogni nome una storia, una vita, un sogno, un destino che gli ha …
Santa Ana è una polverosa cittadina del nord del Messico nota per l’industria mineraria e per avere una delle poche …
Ho letto il romanzo tutto di un fiato, o quasi. E’ scritto in maniera semplice ma ti prende nella sua semplicità e scorre molto bene anche se affronta tematiche che non sono abituato a trattare. Risulta però molto particolare il modo di scrivere: non ci sono dialoghi evidenti e a volte passa dalla terza persona alla prima persona e li capisci che sono dialoghi introspettivi.
Tornando ai temi, posso dire che li conosco per sommi tratti (quello che la cultura popolare ci insegna) e Arizona spesso mi è sembrato un libro quasi dedicato all’educazione (a tratti, un testo attivista ma che racconta anche di un percorso di formazione) più che all'intrattenimento. Romanzo non mi sembra, infatti, la parola adatta ma sembra quasi un longform di un blog.
Quello che ho capito alla fine della lettura è stato che io non ne avevo capito molto prima, e che forse non ne …
Ho letto il romanzo tutto di un fiato, o quasi. E’ scritto in maniera semplice ma ti prende nella sua semplicità e scorre molto bene anche se affronta tematiche che non sono abituato a trattare. Risulta però molto particolare il modo di scrivere: non ci sono dialoghi evidenti e a volte passa dalla terza persona alla prima persona e li capisci che sono dialoghi introspettivi.
Tornando ai temi, posso dire che li conosco per sommi tratti (quello che la cultura popolare ci insegna) e Arizona spesso mi è sembrato un libro quasi dedicato all’educazione (a tratti, un testo attivista ma che racconta anche di un percorso di formazione) più che all'intrattenimento. Romanzo non mi sembra, infatti, la parola adatta ma sembra quasi un longform di un blog.
Quello che ho capito alla fine della lettura è stato che io non ne avevo capito molto prima, e che forse non ne ho capito molto di più adesso. Ci sono un sacco di termini che dovrei assimilare per non sbagliare e offendere nessuno.
Quello che mi sembra di intravedere, anche dai dialoghi dei personaggi e dalla introspezione di Maria e di James, è che il tema è confuso anche per chi vive queste esperienze di transizione, o almeno all’inizio, ma poi una volta chiarito se provano a spiegarlo agli altri risulta davvero complesso e arzigogolato. Certamente libri come questo possono servire ad accrescere la consapevolezza di un mondo che è emarginato e complesso anche se devo dire che il modo a tratti volgare (scritto come se fossero ragazzacci di strada) in cui è stato scelto di scriverlo non lo mette sotto una buona luce.
Per finire, mi aspettavo un finale chiuso e non appeso così (metafora del fatto che i loro problemi non finiranno mai?). Si capisce che alla fine James non si è accettato, ma non si sa nulla di Maria. Il titolo Nevada alla fine si riferisce solo alla seconda parte del libro (dove, come detto, si tenta di evangelizzare per forza James) che secondo me è anche la parte più marginale (anche se molto più scorrevole) perchè risultano molto più interessanti le riflessioni di Maria nella prima parte.
Un’opera che porta chiunque a interrogarsi sui propri desideri e identità, aprendo nuovi orizzonti e trasmettendo una gran voglia di …
Bello, non l'avevo mai letto. Mi piace come ha descritto la vita monotona e noiosa alla Fortezza in attesa di un attacco che sembra non arrivare mai. Come poi alla fine il tempo passa per tutti anche per il giovane Drogo che alla fine giovane non sarà più e, proprio nel momento clou della sua vita, come una beffa del destino, dovrà andare via perchè vecchio e malato. Si sente l'atmosfera opprimente e claustrofobica della Fortezza, e il senso di isolamento e disperazione che pervade i personaggi. Il romanzo tratta temi universali come la solitudine, l'attesa, la delusione e la morte ma lo fa in una maniera che personalmente mi hanno coinvolto non poco. In certi punti, ahimè, mi ci sono anche ritrovato, tanto da empatizzare un po' con il protagonista perchè certe volte mi sono fermato a riflettere come nella vita a volte ci si trovi ad attraversare dei …
Bello, non l'avevo mai letto. Mi piace come ha descritto la vita monotona e noiosa alla Fortezza in attesa di un attacco che sembra non arrivare mai. Come poi alla fine il tempo passa per tutti anche per il giovane Drogo che alla fine giovane non sarà più e, proprio nel momento clou della sua vita, come una beffa del destino, dovrà andare via perchè vecchio e malato. Si sente l'atmosfera opprimente e claustrofobica della Fortezza, e il senso di isolamento e disperazione che pervade i personaggi. Il romanzo tratta temi universali come la solitudine, l'attesa, la delusione e la morte ma lo fa in una maniera che personalmente mi hanno coinvolto non poco. In certi punti, ahimè, mi ci sono anche ritrovato, tanto da empatizzare un po' con il protagonista perchè certe volte mi sono fermato a riflettere come nella vita a volte ci si trovi ad attraversare dei periodi in cui non si conclude niente, perso nel solito tram tram: ti alzi, vai al lavoro, torni a casa e la giornata finisce. Alla fine non c'è molta differenza tra la vita di Drogo e questi periodi che credo tutti, prima o poi, attraversiamo. La cosa bella è che poi a noi ci è permesso svegliarsi e dare un senso alla vita, e la viriamo più o meno bruscamente da un'altra parte, mentre lui si è adagiato e non combina più nulla. Tutti alla fine lo dimenticano ma non è forse la paura più grande di tutti noi, non essere più ricordati?
The Tartar Steppe (Italian: Il deserto dei Tartari, lit. 'The desert of the Tartars') is a novel by Italian author …
Devo dire che inizialmente ho trovato la lettura un po' ostica (sarà lo stile di chi scrive un romanzo nei primi del 900) ma poi, con un po' di concentrazione, mi ha preso. Alla fine, il libro mi è piaciuto. Addirittura, alla fine sono riuscito anche ad apprezzare lo stile di scrittura dell'autore, perché quando scrive e si avviluppa nei suoi ragionamenti contorti, sembra quasi che faccia poesia.
All'inizio D-503, il costruttore dell’integrale (che scrive per i lettori di un altro pianeta), sembra un classico, come si dice oggi, "nerd matematico" infervorato e il suo mondo sembra quasi la realizzazione su vasta scala della Fratellanza Pitagorica, la setta di Pitagora e dei suoi seguaci della antica Grecia. Tutto è inquadrato in formule matematiche e forme geometriche precise, come a dare sicurezza in un mondo che non lo è (o che comunque non lo era più stato dopo la guerra dei …
Devo dire che inizialmente ho trovato la lettura un po' ostica (sarà lo stile di chi scrive un romanzo nei primi del 900) ma poi, con un po' di concentrazione, mi ha preso. Alla fine, il libro mi è piaciuto. Addirittura, alla fine sono riuscito anche ad apprezzare lo stile di scrittura dell'autore, perché quando scrive e si avviluppa nei suoi ragionamenti contorti, sembra quasi che faccia poesia.
All'inizio D-503, il costruttore dell’integrale (che scrive per i lettori di un altro pianeta), sembra un classico, come si dice oggi, "nerd matematico" infervorato e il suo mondo sembra quasi la realizzazione su vasta scala della Fratellanza Pitagorica, la setta di Pitagora e dei suoi seguaci della antica Grecia. Tutto è inquadrato in formule matematiche e forme geometriche precise, come a dare sicurezza in un mondo che non lo è (o che comunque non lo era più stato dopo la guerra dei 200 anni): "Ogni cosa a suo posto, tutto era semplice, regolare", puro, cristallino, simmetrico". Al protagonista piace la Matematica perché gli dà sicurezza, è precisa, controllata, e non ti dà modo di uscire fuori dagli schemi e quindi non si può sbagliare, né commettere errori: "E la matematica applicata alla vita da sicurezza e se non commetti errori allora hai la chiave delle felicità."
Ho trovato originale l'utilizzo di numerosi riferimenti matematici per descrivere quel mondo: - Aveva lo "sgradevole effetto di un membro irrazionale irriducibile che si infili casualmente in una equazione.", - "Non voglio la radice quadrata di -1" - "Non vivevo nel nostro mondo razionale ma in quello antico antico, vaneggiante, nel mondo delle radici di meno uno" - "Inscalfibili ed eterne sono solo le quattro operazioni dell’aritmetica" - "Fatico ad immaginarmi la vita non calata nei paramenti matematici delle tavole della legge"
Non credo sia un caso che la sua amante si chiami I come la radice quadrata di -1 ("Quella donna [I-330] mi faceva lo stesso sgradevole effetto di un membro irrazionale irriducibile che si insinui casualmente in un’equazione.”). Quando narra un episodio di quando andava a scuola afferma che è un numero irrazionale (ma noi sappiamo che non è nemmeno un numero reale ma immaginario e complesso, non irrazionale): “È come tanto tempo fa, negli anni di scuola, quando mi ero imbattuto in una √-1. […] Una volta Gracchio ci aveva parlato dei numeri irrazionali: ricordo che piangevo, battevo i pugni sul tavolo strillando: «Non voglio la √-1! Toglietemi di dosso la √-1!». Questa radice irrazionale mi attecchì dentro come qualcosa di estraneo, di alieno, di terribile; mi divorava: non era possibile vagliarla, neutralizzarla, perché era fuori della ratio.” E poi, pensandoci bene, in russo irrazionale non credo si scriva con la I (forse иррациональный ) e neanche immaginario (forse мнимый).
Le persone vengono chiamate "Numeri" e quindi capita di imbattersi in frasi spiazzanti come: i "doveri di numero onesto" oppure "Avevo finito di essere un numero in una addizione per diventare una unità."
Spesso vengono citati gli "Esercizi di Taylor da fare in palestra" e le Formule di Taylor: credo si riferisse proprio al matematico inglese Brook Taylor del 1700.
Sono tutti sincronizzati nel fare le cose come un unico organismo (anche nel mangiare con i suoi "50 movimenti regolamentari di masticazione per ogni boccone") e due volte al giorno (16:00-17:00 e 21:00-22:00) "il possente e unico organismo si parcellizza in cellule separate: si tratta delle ore personali stabilite dalle tavole della legge". Sono talmente controllati mentalmente che reputano "i sogni sono una grave malattia psichica" e la fantasia come qualcosa da eliminare chirurgicamente: "Voi siete malati e il nome di questa malattia è: fantasia!" e "Sarete perfetti, equivarrete a delle macchine, la via che conduce al 100% della felicità è sgombra. Affrettatevi tutti, grandi e piccini, affrettatevi a sottoporvi alla Grande Operazione.". E per ribadire il concetto: "Il sogno antico del Paradiso... Ripensi al Paradiso: là non si conoscono i desideri, non si conosce la compassione, non si conosce l’amore; là ci sono i beati, a cui è stata asportata la fantasia (ed è per questo che sono beati), gli angeli, i servi del Signore".
Figure come "Lo Stato Unico", il Benefattore e la Scienza Unica di Stato ricordano molto 1984, con il suo Grande Fratello che rappresenta il simbolo del controllo totale e della sorveglianza dello stato. In entrambe le opere, la società è dominata da un'ideologia totalitaria che controlla il pensiero e la libertà delle persone. In "Noi", la Scienza Unica di Stato è l'ideologia dominante che promuove l'efficienza, l'ordine e l'eliminazione di qualsiasi forma di individualità. Questa ideologia richiama il concetto di Ingsoc presente in "1984", che promuove il controllo del pensiero e la manipolazione della realtà per mantenere il potere.
Per entrambi i romanzi vengono esplorate tematiche come la perdita della libertà individuale, l'alienazione e la distruzione dell'individualità (la frase che più rappresenta questo stato di cose è: "Tutti ed Io siamo un unico Noi"). Risulta impressionante, quindi, l'effetto spersonalizzante dell'assenza dei nomi sostituiti da una lettera (consonante per i maschi e vocale per le femmine) e un numero progressivo (dato che nell’alfabeto russo ci sono 10 vocali, ciò spiega perché le donne non erano in netta minoranza numerica). Evidente che essendo scritto nel primo 900 ha ancora risvolti maschilisti sulle donne e su come pensano le donne (specie quando ad inizio libro D descrive O-90 ... non la tratta proprio bene).
Mi ha messo i brividi quando ho capito che O-90, che ha il desiderio di procreare ma essendo fuori dallo standard della Norma Materna, non potrebbe farlo nello Stato Unico, è evidente che ci troviamo di fronte ad una sorta di selezione razziale. Anche il concetto di madre qui viene meno perché i bambini appena nati vengono portati via dalle loro madri. Loro non hanno una famiglia ad eccezione dello Stato Unico ma il protagonista ad un certo punto dice: "Se avessi una madre, come li avevano gli antichi…"
La farsa delle "elezioni senza dubbi" sono indice di una dittatura e alla fine non sono uno strumento del popolo, ma solo uno dei tanti strumenti usati per mantenere il controllo, una mera formalità, un'illusione di partecipazione democratica. I risultati delle elezioni sono predefiniti e che i cittadini non hanno alcun potere reale nel determinare il destino del governo. Questa mancanza di scelta e di vera partecipazione politica è un segno distintivo di un regime dittatoriale e di una società totalitaria.
Interessante il loro modo di intercalare: "In nome del Benefattore", viene usato almeno 5 volte e fa capire come sono stati indottrinati.
L'autore descrive spesso gli aspetti fisici delle persone con le lettere: la X tra gli occhi, la S del suo corpo, la O del suo corpo tondo (divertente quando scrive frasi come "I, con fare xesco"). E aggiunge poi, sempre per ogni persona, sempre la stessa caratteristica per identificarlo: branchie, rughe, sopracciglia, etc.
Nelle loro abitazioni le stanze hanno le pareti trasparenti (tranne quando si aveva il tagliando rosa e si aveva il permesso dell’addetto ad abbassare le tende): in pratica "vivono sempre in vista, in un perenne bagno di luce", perché non hanno nulla da nascondere ("non come gli antichi che vivevano in abitazioni impermeabili allo sguardo che però li fece divenire egoisti"). Questo mi ha fatto pensare al Panopticon: un modello di struttura carceraria ideato dal filosofo Jeremy Bentham nel XVIII secolo che si basava su un edificio circolare con celle disposte attorno a un'ampia torre centrale, dalla quale i guardiani potevano osservare i detenuti in ogni momento. Lo scopo era ottenere la massima efficienza nel controllo dei prigionieri, ma allo stesso tempo minava la loro privacy.
Sono tutti sincronizzati nel fare le cose come un unico organismo e due volte al giorno (16:00-17:00 e 21:00-22:00) "il possente e unico organismo si parcellizza in cellule separate: si tratta delle ore personali stabilite dalle tavole della legge".
Curioso il modo di descrivere alcune cose: parla spesso del cielo ("cielo azzurro, senza una nuvola che lo guasti, asettico, inappuntabile", "pallido cielo di vetro") e chiama gli altri testa a palla", presumo perché siano tutti rasati. I peli sono una condizione arcaica e immagino che essere glabri sia una caratteristica di cui andare fieri: lo stesso protagonista è infastidito dalla sua mano villosa mentre I non lo è perché ritrova in quel particolare la condizione che ritrovava fuori dalle mura nei MEFI (dal nome Mefistofele). Talmente infastidito che scindeva se stesso in due: "Io, quello vero, e l’altro Io, quello selvaggio" (che si intravedeva nelle mani villose). Bello il cambio di registro dell'ultimo capitolo in cui il protagonista asserisce dice di essere cambiato e non userà più "nessun vaneggiamento, nessuna metafora, nessun sentimento. Solo fatti! Perché sono sano!"…. E se fino a poco prima quando scriveva era molto riflessivo e poetico (usando spesso immagini una dietro l’altra per descrivere qualcosa) e si struggeva spesso per amore, ora in effetti scrive in maniera asettica e impersonale, ma anche per questo più fredda e inumana quando guarda I finire sotto la Campana, fino alla frase distopica finale: "E io spero che vinceremo! Anzi, ne sono certo: vinceremo! Perché la ragione deve vincere!". Qui è la sua umanità ad aver perso.
Ambientato 900 anni nel futuro, è un libro scritto nei primi del 900 e si intuisce sia per il modo di fare i calcoli (ovviamente, data l’epoca, usano le tavole dei logaritmi) sia perché quando quando va nello spazio ci sono pochi dettagli e manca il concetto di assenza di gravità (quando lo ha scritto l’uomo non era mai andato nello spazio).
Una bella riflessione: "Nel passato lo Stato, per senso di umanità, vietava di uccidere il singolo individuo, mentre non vietava di uccidere per metà milioni di individui. Uccidere il singolo, ossia sottrarre 50 anni alla somma delle durate delle vite umane era da criminali, ma sottrarne 50 milioni di anni forse non lo era? Beh, davvero ridicolo!"
Una bella citazione: "Una persona è come un romanzo: fino all’ultima pagina non si sa mai come va a finire. Se no, neanche varrebbe la pena di leggere..."
Un pezzo che mi ha fatto ridere: "Noi tutti (e forse anche voi) da piccoli, a scuola, abbiamo letto il più grande dei monumenti letterari antichi giunti fino a noi: L’orario dei treni." […] A chi non toglie il fiato sfrecciare strepitanti per le pagine dell’Orario? […]"
La parte più poetica? Eccola qua: "Sfigura come la grafite accanto al diamante: entrambi contengono C, carbonio, ma com’è eterno e trasparente, come riluce il diamante!"
La citazione più rivoluzionaria: "E dunque dimmi: qual è l’ultimo numero?" - "Ma, I, è una cosa insensata. Dal momento che il numero dei numeri è infinito, come vuoi che faccia a dirti qual è l’ultimo?" - "E io come vuoi che faccia a dirti qual è l’ultima rivoluzione? L’ultima rivoluzione non c’è; le rivoluzioni sono infinite. Si dice ai bambini che è l’ultima: l’infinito li spaventa e bisogna che dormano tranquilli la notte..."
La parte più vera: "[...] Racconta una storia a dei bambini, raccontagliela fino in fondo, e loro ti chiederanno comunque, senz’altro: e poi? e perché? […] I bambini sono gli unici filosofi coraggiosi. E i filosofi coraggiosi sono sempre bambini. Bisogna che sia sempre così, come i bambini, chiedere: e poi?"
Bello… soprattutto la trama principale … ma il finale speravo fosse più spettacolare invece che un epilogo senza il quale non è che si capisce proprio chi sia l’assassino…
Mi sono divertito a seguire la trama apparentemente intricata: però è stata una lettura leggera, oserei dire quasi estiva senza alcuna suspence. Sarà forse che siamo abituati a leggere o vedere film con trama ben più intrigati, questo era quasi un corso base per scrittori di gialli. Per cui citando Anton Cechov che diceva che se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari, il fatto che si fosse fatto riferimento ad una tendina sparita era evidente che questo fatto avesse uno scopo. Ma considerando l'anno in cui è stato scritto il romanzo, immagino che debba aver fatto presa su molta gente. Francamente ritingo le dinamiche tra i personaggi sin troppo semplificate: ci sta il primo morto (forse), ma dal …
Bello… soprattutto la trama principale … ma il finale speravo fosse più spettacolare invece che un epilogo senza il quale non è che si capisce proprio chi sia l’assassino…
Mi sono divertito a seguire la trama apparentemente intricata: però è stata una lettura leggera, oserei dire quasi estiva senza alcuna suspence. Sarà forse che siamo abituati a leggere o vedere film con trama ben più intrigati, questo era quasi un corso base per scrittori di gialli. Per cui citando Anton Cechov che diceva che se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari, il fatto che si fosse fatto riferimento ad una tendina sparita era evidente che questo fatto avesse uno scopo. Ma considerando l'anno in cui è stato scritto il romanzo, immagino che debba aver fatto presa su molta gente. Francamente ritingo le dinamiche tra i personaggi sin troppo semplificate: ci sta il primo morto (forse), ma dal secondo, terzo morto, la gente non entra nel panico? Il maggiordomo continua a cucinare e ad accudire gli ospiti anche se la moglie gli è morta da poco? Ecco questa sembrava più una parodia, un giallo alla Greg e Lillo. Ma ripeto, forse per l'epoca in cui i lettori non erano così smaliziati e per il fatto che fosse stato scritto a puntate (immagino un morto ad ogni puntata) avrà avuto un suo perchè. Per quanto riguarda il razzismo e pregiudizi non mi ha dato fastidio perchè sapevo quando era stato scritto il romanzo e anzi, non trovare riferimenti del genere quando si parlava di alta borghesia, sarebbe stato altrettanto strano. Secondo me, dove il libro ha lasciato a desiderare è stato il finale. Senza la spiegazione dell'epilogo non si sarebbe capito un granché e potevi immaginare che i fatti si fossero svolti diversamente. Avevo intuito che fosse necessaria la complicità di qualcuno ma, dopo che leggi l’epilogo che svela tutto così facilmente, l’assassino risulta essere fin troppo scontato. Mi sarei aspettato qualcosa di più spettacolare. Ma ripeto: forse sono abituato male io a vedere troppi colpi di scena nei finali in film alla Fight Club (ok non è un giallo ma per intenderci). Comunque, tirando le somme, fino alla fine mi sono divertito ad eccezione, come detto, del finale affrettato.
Content warning Attenzione spoiler!
Il libro è stata una piacevole lettura. Ho apprezzato il modo di raccontare con piccole frasi di momenti e per immagini o odori. L’Arminuta, ovvero "La Ritornata" è una storia interessante e scorrevole. Apprezzato anche il colpo di scena nel finale che spiega l'assenza della madre adottiva (che non era malata ma aspettava un figlio da un altro uomo). Certo il suo comportamento è un po' anomalo: ora che ha una figlia sua ha abbandonato senza troppe remore la figlia che aveva adottato sin da quando era piccola. Non che non possa essere realistico (accadono cose ben più strane nel mondo) ma ha in sé un non so che di cattiveria. Mi ha colpito la scena di quando la ragazzina ritorna alla casa della famiglia adottiva ma oramai non la sente più sua e nessuno fa in modo di farla sentire a suo agio: è stato davvero estraniante. Il nuovo compagno della madre adottiva non sembra uno stinco di santo e ha in sé una vena di prepotenza maschile. Finito il libro mi sono accorto che ci hanno fatto anche un film: quando posso sono curioso di vederlo.
P.S. Ho trovato molte analogie, per la storia delle due madri e per il fatto che la ragazza viene riportata indietro alla sua madre biologica, con un altro libro: Accabadora di Michela Murgia.