Disarticolato. Ecco la prima parola che mi viene in mente se penso al romanzo Sangue e viscere al liceo di Kathy Acker.
Disarticolazione, narrazione scomposta, assemblaggio di strutture e strumenti di comunicazione che potrebbero non combaciare, che invece concorrono a tessere una trama, e insieme ci restituiscono Janey. Protagonista assoluta, dea ex machina.
Prosa, poesia, teatro, disegno, mappe. Manipolazione del mezzo.
Tutto passa attraverso il corpo, filtro caleidoscopio che sulla carta descrive la vita come fossero frammenti di vetro colorato. Sporco. Tutto passa attraverso l'io e attraverso tutte le forme narrative che possono contenerlo. Contenere e narrare Janey.
Kathy Acker parla una linga viva, una lingua in movimento. Una lingua sporca. Una lingua alla ricerca di qualcosa. Un senso, l'amore, la fine del dolore, la sospensione della tragedia, un luogo in cui poter essere.
"Quando l'orologio iniziò a indicare le cinque (del mattino) Janey era al limite e allora uscì per strada nonostante la febbre alta. Dove poteva fuggire? Dove stava la pace (qualcuno che le voleva bene)? Non l'avrebbe accolta nessuno."
Linguaggio non convenzionale, per non opacizzare le cose.
Sangue e viscere al liceo è una confessione, un'invasione. Un'accusa e un manifesto. Un atto d'amore. Una rivendicazione, un invito. Urla e sussurri.
"Ogni giorno serve un attrezzo affilato, una potente arma di distruzione, per squarciare la monotonia, la lobotomia, il trillo del campanello, la fiducia negli esseri umani, la stagnazione, le immagini e l'accumulazione. Non appena smetteremo di credere negli esseri umani, e comprenderemo che siano cani e alberi, inizieremo a essere felici."
Non è un testo accogliente. Stride e deraglia, va dove vuole e quando vuole. Non si lascia maneggiare, è scortese, inaffidabile. Eccessivo, anche, in certi momenti. È un testo capriccioso che punta i piedi, che scarta, gira in tondo, torna indietro e ricomincia.
Si può solo decidere se seguire o no la voce di Kathy Acker, per vedere fin dove si è messa in testa di portarci.
"Mi avviai,
ci dice Catullo,
verso l'East
River..."