Il “manifesto intellettuale” di questo modo di intendere il mondo può essere identificato con il discorso che Putin legge all'Assemblea federale della Federazione russa il 12 dicembre 2013. [...] La colpa per questa destabilizzazione [dell'ordine mondiale] è da ricercare in quanti, con le loro politiche, provano a distruggere «i valori tradizionali [nel] tentativo di imporre ad altri paesi un modello di sviluppo apparentemente progressista» (ivi, pp. 308-9). Opporsi a questo, conclude Putin, vuol dire essere dei veri conservatori ed evitare lo scivolamento «verso un'oscurità caotica, uno stato primitivo». La retorica neostaliniana del presidente russo si salda, dunque, con i temi cari alle posizioni dei neoconservatori di tutto il mondo.
Nel 2014 l'epilogo di Euromaidan – o “rivoluzione della dignità”, come è chiamata in Ucraina – e la cacciata del presidente Janukovič hanno rafforzato al Cremlino la certezza che gli USA stanno sottraendo alla Russia la sua storica sfera di influenza. Putin non accetta i cambiamenti nella capitale ucraina come il frutto della volontà popolare, non è un tratto culturale che gli appartiene. Da uomo dei servizi e cultore dell'impero, è invece convinto che si tratti di un complotto occidentale messo in atto con l'intento di colpire Mosca.