(¯´•._.• DarkMiryam •._.•´¯) finished reading Weyward
Il romanzo d’esordio di Emilia Hart si apre con una citazione shakespeariana: The Weywards Sisters, hand in hand, posters of the sea and land, thus do go, about, about, thrice to thine, thrice to mine, and thrice again to make up nine. Peace, the charm’s wound up. Le streghe del Macbeth, nella prima edizione a stampa contenente tutte le opere del drammaturgo inglese, vengono definite così: weyward. E’ un unicum letterario poichè, nelle successive edizioni, il termine verrà mutato in “weird”, con la connotazione di misterioso, soprannaturale, ma anche strano.
Weyward è una storia di streghe ma non è volta ad un pubblico di sole streghe, sebbene le tematiche principali siano ben riconoscibili agli “addetti ai lavori”: troviamo infatti sempre presenti i tre volti della Dea, la ricerca d’indipendenza dal giogo patriarcale, l’archetipo della donna selvaggia e… la stranezza. Perchè essere strega, da che mondo è mondo, ti renderà sempre strana/o agli occhi degli altri.
Pur facedo parte di periodi storici diversi, le vite delle protagoniste, Altha, Violet e Kate, si intrecciano come una corda a tre capi, ribadendo così la forza e la magia del numero tre.
Il diario di Altha, custodito con cura dalle Weyward per ben quattro secoli, ci riporta in piena Inquisizione, quando il mestiere della guaritrice era un’arma a doppio taglio per chi la professava. Altha viene trattata come carne da macello ma non perde mai la propria dignità, nemmeno quando è costretta ad apparire in tribunale scalza, scarmigliata, sporca ed impotente di fronte alla ferocia accusatoria.
Dal diciassettesimo secolo passiamo al 2019 e facciamo la nostra conoscenza con Kate. La giovane donna vive con un forte senso di colpa poichè si crede responsabile della tragica morte del padre. Tale conflitto l’ha portata a vivere una relazione tossica, prigioniera in una gabbia dorata londinese e vittima degli abusi del compagno. La sua unica ancora di salvezza è il lascito ereditario della prozia Violet, un cottage a Crows Beck, in Cumbria.
A 16 anni Violet è una piccola selvaggia: trascorre il proprio tempo arrampicandosi sugli alberi e parlando con gli insetti, con i quali ha un rapporto che va ben oltre la semplice curiosità entomologica. Il padre non vede di buon occhio tali atteggiamenti che gli ricordano quelli della defunta moglie, una figura misteriosa di cui nessuno pare avere intenzione di volerle parlare.
Attraverso il dolore, il lascito visibile ed invisibile delle antenate e la presenza di uno strano corvo dalle penne screziate di bianco, riusciranno a percorrere il sentiero – protetto dalle braccia della Madre – che le porterà all’indipendenza ma, soprattutto, al riconoscimento della propria forza interiore.
Weyward è un romanzo da assaporare lentamente, eppure queste quasi quattrocento pagine scorrono talmente in fretta da far perdere la cognizione del tempo.
La traduzione di Enrica Budetta rende merito all’opera, salvo in un paio di passaggi che mi hanno fatto storcere un poco il naso (ad esempio uno scambio di “How do you do?” tradotti in “Come stai?” e che ho trovato assai stridente nel contesto).
In sostanza si tratta di un libro che vale la pena leggere non una ma almeno due volte: la prima tutta d’un fiato e la seconda provando a raccogliere tutti i riferimenti, le immagini e le riflessioni disseminati tra un capitolo e l’altro.
Recensione presente anche sul mio sito Oltrelenebbie.wordpress.com